Partiamo da qualche dato e ipotizziamo una soluzione
L’acquisizione di Vitaldent da parte di DentalPro non può che essere considerata sotto l’unico punto di vista possibile: la finanza.
Da una parte il fondo JB Capital proprietario del gruppo Vitaldent che, dopo le cliniche spagnole, ha deciso di vendere anche quelle italiane; dall’altra il fondo BC Partners, maggiore azionista di DentalPro, che ha visto nell’acquisto un’opportunità. Indubbiamente molti di voi grideranno allo scandalo visto che le logiche che hanno guidato l’acquisizione si basano, più che sulla qualità delle cure rese, sulla possibilità di ritorni del capitale investito.
JB Capital aveva acquisito il Gruppo Vitaldent dopo la vicenda giudiziaria del 2016 e lo ha rivenduto quasi 5 anni dopo. Non sapendo a quanto avevano comprato, a quanto hanno venduto e nel mentre quanti soldi hanno eventualmente investito per la gestione, non possiamo dire se l’operazione finanziaria sia stata positiva o negativa per JB Capital.
E le cure fatte ai pazienti dove si collocano?
Anche queste nel bilancio, alla voce “Ricavi delle vendite e delle prestazioni”. Che poi è la stessa voce dove si collocano gli incassi di una Srl gestita da soli odontoiatri.
Queste considerazioni valgono anche per le acquisizioni precedenti come quella annunciata qualche settimana fa tra Colosseum Dental Group e Odontosalute, o qualche anno fa tra Primo Group e Caredent, e ancora le precedenti fatte sempre da DentalPro.
Ma i Fondi che investono, ci guadagnano o perdono?
È sempre molto difficile da capire, anche perché oltre agli incassi entrano anche in gioco logiche di opportunità. Neppure guardando i bilanci si capisce con certezza quanto ci perdono o guadagnano, ma questo vale per i bilanci di qualsiasi società in qualsiasi settore, perchè tra le voci importanti da tenere sotto controllo c’è anche la “fiscalità”.
Se consideriamo gli utili o le perdite dichiarate dalle singole Srl del Gruppo (quindi gli studi DentlaPro sul territorio) molte registrano bilanci in attivo ed alcune in perdita. Sempre stando ai bilanci del 2018 si passa dagli oltre 3 milioni di euro di attivo dichiarato dalla DP Dent srl (sede a Milano), ai meno 300 mila euro della DP 48 srl (sempre di Milano). Degli 83 studi elencati in bilancio, studi all’estero esclusi, 16 hanno dichiarano una perdita, per 6 di questi le perdite erano sotto i 6 mila euro.
Vitaldent Italia al 31 dicembre 2018 registrava una perdita di 10 milioni di euro, 5 milioni in più rispetto al 2017.
Una questione interessante è se l’acquisizione potrebbe essere oggetto di analisi da parte dell’Autority sulla concorrenza del mercato: certamente un unico proprietario che ha in mano 260 studi, il mercato, anche solo in termini di approvvigionamento di materiale, se non lo condiziona a discapito degli altri, lo condiziona a suo vantaggio.
E se consideriamo la questione concentrazione non sul numero di studi ma sul numero di pazienti in cura?
Secondo i dati che ha fornito DentalPro, con l’acquisizione degli studi di Vitaldent sono un milione e 600 mila i pazienti seguiti nei 260 ambulatori.
Se per gli odontoiatri titolari di studio, la domanda di quanta concorrenza mi faranno è legittima, la vera domanda che la politica si dovrebbe porre è: queste acquisizioni comportano dei rischi per il paziente? Sono adeguate le tutele?
Sui rischi legati alla cura non dovrebbe cambiare nulla, e comunque dal punto di vista delle tutele, le regole per garantire che le strutture siano sicure e le cure eseguite secondo i principi etici e deontologici ci sono. Le norme sulla direzione sanitaria e sulla pubblicità hanno contribuito a migliorare in questo senso.
Oggi il controllo e le responsabilità in caso di inadempienza sono affidati al direttore sanitario; le cure e le terapie prescritte dall’odontoiatra abilitato le possono eseguire, ovviamente, solo gli iscritti all’Albo degli odontoiatri o degli igienisti dentali.
Ma dal punto di vista delle garanzie dal lato “finanziario”, della continuità delle cure?
Quelle sono le stesse che regolamentano il mercato, dovrebbero tutelare i fornitori e i clienti delle società. Ma sono regole efficaci anche quando il prodotto venduto non è un frigorifero, ma una cura?
IDental in Spagna e recentemente Dentix (anche in Italia) hanno dimostrato che quelle tutele non sono efficaci perché non si compra un bene di cui si viene subito in possesso, ma si intraprende un percorso di cure che spesso dura anni. Così se durante il periodo che il paziente è in cura, la struttura chiude, nascono i problemi. Economici e di salute.
Le vicende iDental e Dentix lo hanno dimostrato con migliaia di pazienti lasciati senza cure e le rate dei finanziamenti da pagare.
Ma le richieste arrivate alla politica per cercare di porre rimedio impedendo questo si sono concentrate nel chiedere norme che limitino il potere decisionale del capitale nei consigli di amministrazione nelle società odontoiatriche privilegiando le Stp (Società tra professionisti). Tentativi legittimi di chi cerca di tutarle gli interessi del singolo professionista, ma anche a fronte di queste nuove acquisizioni diventerà sempre più difficile trovare una sponda politica disposta a sostenerle.
Il nuovo Gruppo DentalPro ha dichiarato di avere, oggi, 2mila dipendenti e 1.500 collaboratori, tra odontoiatri ed igienisti.
Quale politico si prenderebbe la responsabilità di sostenere una norma che ne potrebbe portare alla chiusura o anche solo limitarne l’operato?
Poniamo la domanda delle tutele in maniera differente. I pazienti che si rivolgono ad una “Catena” hanno le stesse tutele dei pazienti che si rivolgono ad una società di capitale i cui soci sono odontoiatri?
Dal punto di vista delle garanzie della qualità di cure (garantite dagli abilitati all’esercizio) e della sicurezza delle strutture (certificate dall’autorizzazione sanitaria), le regole sono le stesse.
Ma se una singola Srl chiude i pazienti lasciati con le cure da terminare saranno qualche decina. Se le finanziarie che detengono la maggioranza delle azioni di DentalPro dovessero decidere di investire in altri settori abbandonando l’odontoiatria, e se non si trovassero altri investitori (come avvenuto per Dentix), quel milione e 600 mila pazienti in cura nei 260 ambulatori del Gruppo a chi si potrebbero rivolgere?
Qui si che la questione concentrazione di studi fa la differenza.
Un paziente di una società odontoiatrica comincia una cura che si protrae per un arco di tempo molto ampio: almeno per mesi, spesso anche per anni. Non ha nessuna garanzia che quella cura iniziata verrà terminata ma neppure che i soldi che man mano vengono spesi (o finanziati) gli possano essere restituiti. Nel bilancio DentalPro del 2018, viene indicato che il 55% dei pagamenti per le cure sono stati incassati attraverso finanziamenti.
Certo, impedire che singoli gruppi finanziari possano acquisire molti studi odontoiatrici può essere una delle soluzioni per impedire questo (ma rimarrebbe il problema, comunque, per i pazienti che si rivolgono alle 5mila società di capitale di proprietà degli odontoiatri). Si riuscirà a trovare una sponda politica che riesca ad impedire ai Gruppi finanziari di investire in attività italiane consentendo che l’esercizio in forma societaria dell’odontoiatria si svolga solo attraverso Stp?
Un’alternativa potrebbe essere una norma che preveda un fondo di garanzia (potrebbe essere anche una assicurazione), magari sulla base del fatturato annuo, che possa essere utilizzato per rimborsare i pazienti che rimarranno con le cure interrotte in caso di fallimento.
Soluzione che potrebbe dare quelle garanzie a tutti i pazienti di qualsiasi società odontoiatrica.
Fonte: Odontoiatria33.it